Miabi: l’esperienza che ti cambia la vita

Miabi: l’esperienza che ti cambia la vita

Per giungere a Miabi, dove si trova la struttura di accoglienza della Missione, Roberto e Daniel devono attraversare la savana, un’immensa distesa pianeggiante di terra sabbiosa e rossa. Finalmente arrivano al villaggio, dove vivono circa 200mila persone, «più che a Pescara, tutte in capanne per lo più con tetti di paglia, collegate tra loro senza alcuna regola da una rete di veri e propri sentieri; in centro c’è il mercato, simile a quello visto a Mbuji Mayi ma molto più piccolo, nelle strutture più solide e di più grandi dimensioni si trovano le due parrocchie, un ospedale e qualche ufficio».

 

I due “provetti” calzolai

Durante la permanenza dell’ottico optometrista di Pescara, avviene un fatto curioso: «All’interno dell’area ospedaliera – racconta Roberto –, abbiamo incontrato casualmente due bambini di cui uno più grandicello, 7-8 anni, che ci hanno fermato facendoci notare che Michele, il nostro compagno imprenditore pugliese che ci ha raggiunto dopo il nostro arrivo, aveva le scarpe con la suola scollata. Il più grande si è detto in grado di ripararle, quindi ci siamo fermati per la riparazione pensando chissà con quale colla il ragazzino si sarebbe presentato per il lavoro, e invece è tornato con ago e spago e con maestria ha realizzato una riparazione da far invidia a un bravo calzolaio.

Nell’attesa della riparazione abbiamo cominciato a chiacchierare con i 2 ragazzini e siamo venuti a sapere che erano fratelli, che abitavano in un altro villaggio, e il più piccolo era stato ricoverato all’ospedale per una infezione al piede che era guarita ma l’ospedale, dove i genitori avevano lasciato alcune cose in pegno per iniziare la cura, non li avrebbe lasciati tornare a casa fin quando non avessero completamente pagato la prestazione (mancavano 19.000 franchi congolesi che equivalgono a circa 10 euro).

Non avendo soldi il padre aveva lasciato tornare la moglie a casa per accudire gli altri figli mentre lui era andato in una miniera distante pochi chilometri per racimolare il denaro necessario a saldare il dovuto e riprendere i due ragazzini – questo è ciò che accade in caso di ricovero in un ospedale pubblico. Abbiamo ovviamente pagato la rimanenza per lasciare andare i due fratellini, felicissimi per l’inaspettata  Provvidenza”, e ricompensato adeguatamente per la riparazione della scarpa».

Nella zona, acqua corrente ed energia elettrica sono inesistenti: lo stipendio medio per un lavoro sicuro (poliziotto, dipendente comunale, medico, insegnante) si aggira intorno ai 60-80 dollari mensili, a cui si aggiunge ciò che si può racimolare da lavoretti più diversi. «Le miniere, che rappresentano la vera ricchezza del Congo, per la mala-gestione dello Stato centrale vengono date tutte in concessione alle grandi multinazionali internazionali, che sfruttano per i loro interessi i lavoratori, anche bambini, senza destinare nulla alla povera popolazione che in questo modo rimane sfruttata, sottomessa e purtroppo rassegnata ad un futuro difficilmente migliorabile».

 

Visita all’orfanotrofio

Il progetto dell’associazione “Il Buon Samaritano” per la missione di Miabi è molto ambizioso, è un progetto

costituito da tanti progetti più piccoli ma tutti essenziali e indispensabili: portare istruzione alla popolazione, per lo più analfabeta, con la realizzazione della scuola frequentata non solo da bambini ma anche da adulti che iniziano a sentire l’esigenza di emanciparsi.

Inoltre, dare prospettive alla vita degli abitanti, come ad esempio la costruzione delle proprie capanne e il “quotidiano fare fuoco”, indispensabile per cucinare, che sono state le cause negli anni passati dell’abbattimento quasi completo degli alberi presenti.

Da qui l’idea del rimboscamento del territorio nell’ambito di un progetto di formazione professionale per i giovani finanziato dalla CEI (Conferenza Episcopale Italiana) e in collaborazione con le Associazioni “il Buon Samaritano Onlus”,” Africizia Onlus” e “I Sorrisi del Mondo Onlus”. Infine, la realizzazione di allevamenti di animali: polli conigli, tacchini e maiali, con la costruzione di un relativo “porcile”.

 

L’esperienza in Congo di Roberto Servadio, come lui stesso afferma, è stata bella ma allo stesso tempo devastante emotivamente, in particolare modo la visita di alcuni orfanotrofi: «Ne abbiamo visitati due – racconta Roberto –, il primo a Mbuji Mayi nella periferia della città, dove sono ospitati circa un’ottantina di ragazzi di ogni età: le condizioni di vita sono estreme, si mangia una volta al giorno e a volte si salta anche quella, manca tutto e tutto ciò che serve si fa fatica a reperirlo, si vive con aiuti dei religiosi e di chi per compassione porta il poco che a volte avanza».

La descrizione delle baracche dove i bimbi dormono è toccante: «Buie, polverose (ma non di sporco), con stracci a terra per sdraiarsi; il “fufu” (pietanza tipica e povera) una polenta bianca che funge da pane, viene cotto all’aperto in una specie di grande calderone, tutto nero di bruciato, costantemente sopra il fuoco per far bollire l’acqua, fuori dalla cucina ci sono 3 fornelli a gas (tipo campeggio) servono invece a preparare il cibo per gli ottanta ragazzi più le suore che gestiscono il tutto. E nonostante questo, quando si arriva per una visita, scoppia la festa: tutti contenti per la nostra presenza, che interrompe la loro quotidianità e soprattutto per i regali che si distribuiscono: palloni, quaderni, penne e soprattutto caramelle.

Il secondo orfanotrofio visitato sta a Mwenaditu, 135 Km da Mbujimayi, un’altra grande città importante perché ultima tappa della ferrovia che collega la regione del Kasai con la regione del Katanga. I 135 chilometri sono percorsi in 3 ore e mezzo di pista molto mal ridotta e ci portano in questo villaggio dove una semplice donna, fisicamente piccolina e dall’età indefinibile ha cominciato a radunare orfanelli e bimbi abbandonati in strada garantendo loro un tetto dove dormire e, quando possibile un pasto.

In generale questo risulta condizione migliore della normale vita nella maggior parte delle famiglie dove non è sempre garantito neanche quel pasto giornaliero.

Questo è l’orfanotrofio di Maman Kapì, questo è il nome della vecchina che ci accoglie nella sua povertà con grande dignità e con la consapevolezza che con noi è arrivato qualche aiuto per i sui figli che festosi impazziscono per i soliti poveri regali e per le caramelle così buone e rare che alcuni neanche le mangiano normalmente, le tengono tra le dita che poi leccano in modo che il sapore buono duri più a lungo».

 

Attività svolta e bisogni reali

Per quanto riguarda l’attività professionale svolta dall’ottico optometrista abruzzese durante i giorni di permanenza in Congo, si può riassumere con alcuni numeri: 442 persone a cui è stata fatta una rapida schiascopia per selezionare chi avesse avuto necessità di occhiali per lontano; 75 albini tutti con miopia tra le 2.00 e le 11.00 diottrie e astigmatismo entro le 3 diottrie; 1 albino con miopia di circa 18 diottrie; 88 persone con necessità di occhiali da vista a cui è stata rilevata prescrizione e a tutti seguirà fornitura di occhiali; 12 persone con cataratta da operare; 1 con cataratta operata e bisognosa di occhiali + 12.00; 1 cheratocono visibile ad occhio nudo con relativo leucoma; 3 monocoli; 6 ciechi di cui 3 con cataratta completa; 357 premontati consegnati; 127 premontati già prenotati da consegnare; 78 occhiali da sole consegnati ad altrettanti albini.

«Questi numeri, nonostante essere importanti per i pochi giorni di permanenza, non danno idea del bisogno reale che la popolazione ha nei confronti non di quello che noi definiamo “benessere visivo” ma della minima condizione necessaria per una normale situazione visiva accettabile. Dopo i 50 anni, lavoro, lettura (in particolare quella religiosa visto la loro grande Fede) e le più semplici operazioni quotidiane o familiari sono rese quasi impossibili.

Ai pochi fortunati che abbiamo potuto servire subito, la fornitura di semplici premontati è sembrata un regalo della “Provvidenza”, e lo stato d’animo che traspariva da coloro che si sentivano forse per la prima volta presi in considerazione per le proprie difficoltà è stato incredibilmente appagante.

In particolare, gli albini che mostravano inizialmente un atteggiamento psicologico di totale chiusura e inadeguatezza, per la loro vita vissuta nelle condizioni di maggiore subordinazione nei confronti di tutti, prima di lasciarci apparivano contenti e speranzosi che tra poco quel piccolo aiuto che avremmo portato sarebbe stato di sicuro un cambiamento e un sollievo alla loro vita. In questi pochi giorni abbiamo avuto tanto da fare, ma quanto fatto è stato solo un granello di sabbia nei confronti di quanto ci sia realmente bisogno e mi auguro di poter tornare ancora con Daniel».

Se gli occhi del professionista abruzzese hanno visto drammi e situazioni disperate, il suo cuore è stato riempito dalla gioia per le persone conosciute: «Ho potuto parlare con loro molto poco, non parlo francese e tanto meno il “ciluba” (lingua bantu dell’Africa Centrale, ndr), ma hanno però saputo lasciarmi qualcosa difficile da dimenticare e altrettanto difficile da ritrovare nel vivere quotidiano della nostra “società del benessere”.

Il loro essere buoni e sereni nonostante la povertà, il loro vivere per arrivare a sera, la voglia di condividere anche il poco con la propria comunità, i bambini che pur piccoli partecipano consapevoli agli impegni della famiglia e nonostante tutto giocano felici tra loro con niente, è stato straordinariamente bello e gratificante perché diverso, più profondo, più intenso di quanto qualsiasi immaginazione possa portarci a provare». Roberto conclude con una speranza: «Mi auguro, senza alcuna presunzione personale, che questa testimonianza, inizialmente promessa a chi ci ha dato un grande aiuto, possa raggiungere non solo loro ma anche altri fornitori, colleghi, amici, conoscenti, clienti o chiunque voglia e possa unirsi a questo progetto, e perché no, non solo con la fornitura di merce, comunque sempre gradita, ma anche con qualche aiuto economico più concreto da devolvere con offerte o con il 5×1000 all’Associazione “Il Buon Samaritano Onlus”».